VOGUE – Mattia Ferrari fra art directions, social e l’importanza di non dormire… mai

Intervista a Mattia Ferrari fra art directions, social e l’importanza di non dormire… mai


DI VOGUE ITALIA, 23 APRILE 2019

Abbiamo incontrato uno degli under 30 più influenti del mondo. Ecco come nasce (e dove va) il pensiero creativo di Mattia Ferrari

Suo è il pensiero dietro ad alcuni dei brand più importanti del mondo. Mattia Ferrari, classe 1992, ha infatti il dono della creatività che ha messo al servizio di Maison come Moschino, Versace, Chopard, Zadig&Voltaire, H&M, Messika ed Ermanno Scervino. Senza dimenticare le numerose collaborazioni con i più famosi magazine del mondo (fra cui Vogue). Non è un caso quindi che Mattia rientri fra gli under 30 più influenti in circolazione e che l’agenzia da lui fondata – Arnold Creative Communications – sia un vero punto di riferimento nel campo della comunicazione digitale.

MA… CHI È MATTIA FERRARI? 
“Eh, chi lo sa, è difficile per me definirmi. Forse posso farlo attraverso le mie azioni: uso la mente per esprimere la mia idea, la mia creatività, il mio messaggio. In qualunque forma si presenti. Mi piace vedere che un’ispirazione, un pensiero, possa diventare concreto”. La magia del mio lavoro è che nulla è prevedibile, tutto si inventa e crea di continuo. È una tela bianca dove rovesciare tutti i pensieri. Per capire chi sono, in realtà, basta conoscere quello che faccio, i miei lavori”.

COME HAI COMINCIATO QUESTO LAVORO?
“Ho sempre viaggiato sin da giovanissimo. A 16 anni sono andato a Los Angeles da solo con un amico. Poi a New York fino ai 21. Scoprire il mondo mi ha aiutato a conoscere nuove persone e, per un motivo o per l’altro, mi sono sempre trovato in situazioni vicine al mondo della moda. Fotografi, designer, hairstylist, celebrities… Mi sono laureato in economia, una scelta lontana da queste realtà, ma poi rivelatasi molto utile. Ho iniziato a creare presentazioni in PowerPoint basati sulle idee che avrei proposto ad alcuni brand. Erano impaginate malissimo, ma tant’è, ho comunque insistito a spammarle a tutti i miei contatti. I feedback ricevuti, soprattutto quelli ‘critici’, mi hanno insegnato moltissimo. E, alla fine, è arrivata la collaborazione con Bulgari. Lì ho capito che il mio lavoro si chiamava ‘art direction’”.

CHI TI HA DATO LA SPINTA PER COMINCIARE? 
“È stato un percorso interiore. Credo che tutti noi, prima o poi, sentiamo di dover percorrere una determinata strada. È stato davvero tutto naturale, nessuna spinta!”.

CHI È LA TUA ICONA O IL TUO GURU?
Nel mio lavoro direi che non c’è una sola icona definita. Mi sento più ispirato dai modelli di business che dalle persone. Mi incuriosisce la ‘costruzione’ social di personaggi come Kylie e Kendall Jenner, Bella e Gigi Hadid. È interessante vedere come il grande pubblico si ispiri e idolatri queste figure come fossero divinità. Non ho mai comprato un paio di scarpe perché le vendevo in un giornale o indossate da qualcuno di famoso, per cui questo fenomeno mi colpisce”.

**QUANTO CONTANO O HANNO CONTATO DA 1 A 10 NEL TUO LAVORO:

  1. 1

    LA CAPACITÀ**: SETTE – oggi dipende molto la qualità del tuo lavoro, ma anche quanti followers hai su Instagram e con chi ti vedono arrivare alla festa di Vogue. 
    2) LA SFACCIATAGGINE: NOVE E MEZZO – Il mezzo punto per arrivare a 10 l’ho tolto perché se no sei cafone! 
    3) LE CONOSCENZE: OTTO – le buone conoscenze aiutano, ma comunque se non hai il prodotto o non offri un servizio degno, le tue conoscenze rimangono solo conoscenze 
    4) LA FORTUNA: UNO – credo che forse si possa chiamare fortuna quando sei “al posto giusto nel momento giusto” ma io lo chiamo anche appuntamento di lavoro che ti sei saputo creare. 
    5) L’INSONNIA: DIECI – tutti i miei progetti nascono dalla mia incapacità di dormire. Quello che mi passa per la mente la notte non mi verrebbe mai in mente di giorno.

COME NASCE UN’IDEA?
Le mie idee hanno diverse ‘madri’: alcune provengono dalla musica, altre da un oggetto, altre da un momento preciso, che può essere qualunque, anche la visione di una donna in bicicletta a cui il vento porta via il cappello. La mia realtà è diversa dalla realtà comune, osservo tutto con occhio clinico, ogni momento può diventare creativo. Mi piace molto anche trasformare esperienze personali in campagna pubblicitarie. Per esempio l’ultima campagna uomo di Versace, si chiamava “Clans of Versace” e il concept girava intorno al ritorno alle origini del protagonista, Augusta Alexander. Che poi alla fine sono io quando torno a casa e vedo i miei amici. È stato interessante riprodurre una pezzo di vita e vederla interpretata da altri. Cool no?”.

QUANTO È IMPORTANTE NELLA COMUNICAZIONE DIGITAL SAPER RACCONTARE UNA STORIA?
“Dipende. Alle volte i brand vogliono storie con un inizio, un momento clou e una fine, molto letterarie, quasi da copione. Alle volte vogliono il cosiddetto ‘lifestyle’, quindi un concetto più astratto, ritmato con sequenza di diverse immagini che rispettano uno storytelling ma non lo fanno intuire. Io personalmente parto sempre da una storia, o comunque da un punto di partenza che uso come comun denominatore. Un fil rouge che fa capire a tutti la direzione da prendere, che make up usare, che talent scegliere. Per quanto astratto e concettuale sembri un video, vi assicuro che dietro c’è uno studio meticoloso di diversi moodboard e ispirazioni”.

TI CONSIDERI UN NATIVO SOCIAL? QUANTO CONTA ESSERE SOCIAL ONLINE/OFFLINE?
“Diciamo che sono più un modello ibrido. Ho iniziato a creare e coltivare i miei rapporti quando i social media non esistevano, quindi alle cene e alle feste o attraverso messaggi e telefonate. Ora, dopo la nascita dei social media, i rapporti sono più ‘costanti’ ma forse un po’ meno interessanti. Una volta ero curioso di creare incontri per conoscere cosa una persona stesse facendo, ora lo so già grazie alle Stories su Instagram. Il lato positivo è essere sempre in contatto con chi si desidera e quando lo si desidera. Mantenersi social anche ‘offline’ resta comunque determinante: è il momento in cui effettivamente conosci chi c’è dietro a un determinato profilo IG”.

QUAL È IL PROSSIMO PASSO?
“Per ora voglio concentrarmi sul digital e sull’art direction, perfezionando sempre più le mie capacità creative. Con la creatività si può fare tutto. Magari un giorno potrò allegare una piccola capsule collection di street-wear alla mia agenzia e chiamarla Arnoldwear, chi lo sa… Il bello di oggi è che si può tutto”.

TI SPAVENTA IL SUCCESSO?
“No! In realtà molto. È difficile mantenere un equilibrio tra vita social e vita reale. Sembra una banalità, ma alle volte rimanere autentici non è così scontato. Ho bisogno, a volte, di tornare a casa, dalla mia famiglia, dove nessuno sa chi sia, per esempio, Carine Roitfeld”.